LA PASSIONE, LA FATICA E L’URGENZA DI EVANGELIZZAZIONE
La vocazione, la missione ma anche la fatica, e a volte la stanchezza della evangelizzazione, che affiora soprattutto quando anche il prete cede alla tentazione dell’individualismo. “ Chi ha detto che la sequela di Gesù è facile?”, si è chiesto mons. Carbonaro aprendo la “giornata sacerdotale” che il presbiterio diocesano ha vissuto, martedì 18 giugno, convocato “in disparte” – secondo il metodo evangelico- dall’Arcivescovo presso il santuario di Materdomini, dove riposano le spoglie di san Gerardo Maiella, il giovane santo che “scappò” da Muro Lucano, come lasciò scritto, “per andare a farsi santo”. È stata, quella di Materdomini, una giornata di preghiera e di riflessione, di “ritiro”, insomma, come succede mensilmente, ma stavolta caratterizzata, per le circostanze oggettive, da un supplemento di novità, per il confronto aperto e sincero tra i sacerdoti e il nuovo Arcivescovo, impegnato, in questa prima fase di episcopato, nell’ascolto e nella presa di contatto con la realtà in cui vive ed opera il popolo affidato alle sue cure pastorali. Per la verità, l’Arcivescovo aveva già avuto modo di avvicinare , nelle settimane passate, le singole zone pastorali e le realtà parrocchiali in cui è articolata la diocesi, per le cresime e gli incontri già programmati da tempo. Ma era necessaria, ora, una prima sintesi complessiva, per evidenziare e soprattutto per condividere, in nome della necessaria unità di azione, i punti di forza e quelli di debolezza che caratterizzano l’evangelizzazione sul territorio e nei vari ambiti, cui la Chiesa è tenuta per missione; e per iniziare ad individuare le prime linee di un piano pastorale. Del resto , come ha avuto modo di confessare, ai suoi interlocutori, “l’esperienza dell’ascolto reciproco è frutto del cammino sinodale che la Chiesa sta incarnando come stile”, a maggior ragione da praticare nelle relazioni con i sacerdoti, primi collaboratori del vescovo. Un metodo di ascolto che mons. Carbonaro ha vivamente raccomandato di praticare nelle singole parrocchie ,”chiamate a prendersi cura e coltivare la speranza, come accade nella parabola del Vangelo che presenta la sorte del piccolo seme”. La sintesi, tracciata dall’Arcivescovo a fine giornata, rispecchia tre esigenze, strettamente connesse tra loro, che girano tutte intorno a quella che mons. Carbonaro ha identificato come parola-chiave: “cura”, nel senso di prendersi cura: “cura della propria vocazione“, per dar vita ad un presbiterio unito, “disposto a lasciarsi portare per mano dalla Provvidenza”, riconoscendosi tutti “ bisognosi dell’amore di Dio”; “ cura ed attenzione del popolo” attraverso la pratica dell’ascolto che il cammino sinodale suggerisce, ma soprattutto “ rafforzando gli organismi di partecipazione necessari a riformulare la vita delle comunità parrocchiali”, spesso guidate, ”in passato”, da personalità che con pudore l’Arcivescovo ha definito “dal carattere autoreferenziale”. E qui il richiamo naturale è stato da parte di mons. Carbonaro a “ricostruire le comunità partendo da un piccolo gregge, che faccia da cuscinetto per il resto della comunità”, senza lasciarsi immobilizzare dal pessimismo. Ed infine la terza “cura” suggerita e presentata come priorità, perché più urgente : i giovani e l’impegno formativo, spesso frustrante per “la ferita della migrazione.” Ultimo suggerimento, l’iniziazione degli adulti alla vita cristiana, “senza lasciarsi frenare dalle tradizioni che alle volte sono una zavorra che frena la sequela”. Le risorse non mancano – ha concluso – ed ha indicato la ricchezza dei centri di ascolto, i centri di aiuto alla vita, i germi di pastorale universitaria “da incentivare”. Ma siamo ancora da una prima sintesi di un confronto destinato ad intensificarsi e consolidarsi nello stile auspicato della sinodalità.