Bardi risponde a Mons. Ligorio
L’ Arcivescovo, mons. Salvatore Ligorio, ha reso noto di aver ricevuto dal Presidente della Regione Bardi risposta alla lettera che gli aveva inviato dopo la visita, immediatamente prima di Natale, al cosiddetto presidio degli “Invisibili”, la tenda di ex RMI ed ex TIS piantata da mesi davanti al palazzo della Giunta regionale.
In occasione di quella visita il Vescovo è stato informato sulle condizioni esistenziali e sociali nelle quali versa da più di dieci anni, una platea di 1800 persone, definiti dalla stampa, giustamente, “invisibili”. Sono persone provenienti dal “Reddito minimo di inserimento” e dai “tirocini di inclusione sociale”, che svolgono lavori socialmente indispensabili, coprendo vuoti della Pubblica Amministrazione, in scuole, comuni, tribunale e in altri enti, ma di fatto senza diritti, perché privi di contratto e con un assegno minimo, di pura sussistenza.
“Mi pare di essere entrato in una Betlemme locale”, aveva confessato Mons. Ligorio ai suoi interlocutori, seduto ad ascoltarli nella tenda del presidio; e si era impegnato esplicitamente ad unire la sua voce alla loro, scrivendo direttamente al Presidente della Regione per sollecitare una risposta adeguata al problema. Cosa che ha fatto subito dopo.
Nella lettera di risposta, anche il Presidente Bardi, che ha ringraziato l’Arcivescovo per l’interessamento, parla di “lavoratori anonimi e senza volto”; e si è detto impegnato a ridare “dignità professionale ed economica a questa platea”. Bardi ha anche precisato che sta lavorando ad una proposta di legge “finalizzata ad allineare la normativa regionale ai nuovi istituti giuridici che riguardano le misure di contrasto alla povertà e al disagio”.
Mons. Ligorio ha espresso ancora una volta l’auspicio che si riesca a trovare il modo per tirar fuori una così vasta platea di persone dalla penosa condizione di “periferia esistenziale”, ed ha ribadito nuovamente il diritto di tutti ad un lavoro “degno del nome, che assicuri cioè, in modo stabile, non solo il sostentamento personale e familiare ma anche la possibilità concreta di partecipare, da persone libere, alla vita della comunità lucana, cooperando così al bene comune”.