Il male oscuro e invisibile di questa società
E’ di giorni fa, pochi giorni dopo la Santa Pasqua, la notizia del ritrovamento dei corpi, di un padre novantenne e della figlia sessantenne, in un appartamento di un popoloso quartiere di Potenza. Ad allertare i vigili del Fuoco, per i miasmi dei due corpi in decomposizione, i condomini del palazzo e alcuni parenti che, da giorni, non riuscivano a mettersi in contatto con il nucleo familiare. Padre e figlia sono deceduti di morte naturale. Fin qui la cronaca. Una storia come tante. Una storia di solitudine e morte, che potrebbe avere come sfondo qualsiasi periferia degradata ma anche un rassicurante contesto metropolitano. Una famiglia problematica, con presunte condotte psicopatologiche che avrebbero richiesto interventi d’aiuto di tipo sociale, assistenziale e sanitario. Nessuno aveva capito? Nessuno sapeva? Qualcuno ha mai tentato di infrangere le mura che separavano dal resto del mondo due esistenze private, giorno dopo giorno, di ogni forma di sopravvivenza e soprattutto di dignità? Domande e dubbi che chiamano in causa la comunità d’appartenenza, le istituzioni locali, i servizi socio- assistenziali e la Chiesa. Due persone bisognose di attenzione hanno vissuto il loro viaggio verso la morte in solitudine e in un grave stato di degrado. Si può vivere e morire così in questa società tecnologica e del benessere. In realtà, in solitudine si vive e talvolta si muore anche con dignità. Forse, il vero problema, la grande emergenza di questa società è l’indifferenza. E’ la mancanza di attenzione per l’altro. E’ il non riconoscere nell’altro, conoscente, vicino, parente, amico, estraneo, una persona che appartiene al prossimo. Forse è questo il male oscuro e invisibile che ci assedia. E’ l’indifferenza, “ il tu non esisti”, che offende la dignità della persona. Abbiamo smarrito il sentimento di vicinanza. Nei miei anni universitari romani, struggenti anni ’70, ricordo, con tenerezza, il portiere dello stabile dove abitavo. Era l’epoca del telefono fisso e a gettoni. La domenica, con la figlia, mia coetanea, dal piano di sotto, mi bussavano con il manico della scopa, per sapere come stessi e se avessi avuto bisogno di qualcosa. Sapevano che ero immersa nello studio ma volevano essere sicuri che andasse tutto bene. Che nostalgia! Un altro mondo e un’altra vita? No. E’ lo stesso mondo di oggi. Siamo solo molto più poveri di umanità.
Assunta Basentini
Psicologa clinico forense