Marcia della pace

Una via crucis fuori dal tempio; la Chiesa in uscita che ha ripercorso la via dolorosa di Gesù, seguendo le cronache di guerra riportate dai media, e gli echi dei conflitti dimenticati perché troppo lontani, o meno interessanti per l’Occidente. È parsa una via crucis dell’Incarnazione, che si è snodata per le strade di Potenza, dalla Chiesa di Sant’Anna a quella di san Giuseppe, passando per santa Croce, e per san Pietro e Paolo. L’hanno concepita e voluta così la “marcia della pace e contro tutte le guerre”, i quattro parroci della zona pastorale” Potenza sud”: don Franco Corbo, don Sergio Sannino, don Antonio Palo e don Giovanni Di Carlo.
Le “stazioni” sono state ovviamente di gran lunga di più delle quattordici canoniche disegnate dalla pietà popolare lungo la via che porta al Calvario. Perché le guerre in corso sono di gran lunga di più. Sono tante, troppe. Gli organizzatori ne hanno contate ventisei e non sono affatto sicuri di averle elencate tutte: Ucraina, le cui immagini ci turbano ogni giorno a pranzo e a cena, ma anche Afganistan, Camerun, Etiopia, Iran, Iraq, Kurdistan, Mozambico, Palestina, Sudan, Mali, Niger…. e via sgranando un rosario così lungo da far dire a Papa Francesco che siamo ormai di fronte alla “ terza guerra mondiale a pezzi”.
All’invito dei quattro parroci hanno risposto una trentina di associazioni cristiane e laiche, dalle ACLI all’ANPI, al forum delle famiglie; e poi la parrocchia ortodossa Santa Teodora, le suore Discepole di Gesù Eucaristico, il liceo classico Quinto Orazio Flacco, i ragazzi della “Giacomo Leopardi” e della “Torraca-Bonaventura”, gli scout, oltre alle tante associazioni del volontariato ed ovviamente a Pax Christi .
Gli organizzatori parlano o di 6/700 persone; ma il tono e il clima generale fatto di slogan, preghiere, canti e colori lo hanno creato soprattutto i bambini, gli adolescenti e i giovani. Gli adulti sono molti di meno, forse perché schiacciati dalla realpolitik che vede il conflitto ucraino in funzione di una sempre più improbabile vittoria di uno dei due contendenti. Per i manifestanti invece l’imperativo è uno solo: “tacciano le armi, avanzi la diplomazia”. E lo fanno con le parole dell’enciclica “Fratelli tutti” del vecchio e malandato Papa, divenuto il leader sul piano planetario di quanti non si rassegnano al fragore delle armi e al terrore del nucleare, una minaccia fatta sempre più spesso balenare, sia pure come estrema ratio.
Aprono il corteo due croci che sovrappongono e traducono allo stesso tempo il mistero del male e quello dell’Incarnazione. Gli assi inchiodati provengono dal relitto della barca su cui erano i naufraghi sepolti nel mare di Cutro. Una identificazione plastica del Dio crocifisso con gli ultimi della terra, vittime di crimini, eccidi, e nelle zone di guerra di torture, stupri e violenze di ogni genere: i crocifissi di oggi secondo il Vangelo.
Subito dietro, sfilano tante altre croci, più piccole, ognuna portata da un “lupetto” degli scout di potenza: tante piccole croci quanti i conflitti in corso, che richiamano, ad un solo colpo d’occhio, quelle anonime dei cimiteri di guerra.
Poi i ragazzi delle scuole medie, la “Leopardi”, e la “Torraca-Bonaventura”, sono dietro un grande striscione che pare un impegno per il futuro: “ la pace è nelle nostre mani”, è stampato. Seguono i giovani del liceo classico di Potenza: quattro classi andranno anche alla Perugia-assisi del 21 maggio – afferma un professore che li accompagna – segno di un impegno che non si risolve in un pomeriggio di inizio primavera. E poi le suore di Gesù eucaristico della “De Gasperi”, bene riconoscibili nelle loro tonache scure.
Ad ogni stazione una scarna ma essenziale presentazione: il nome del paese martoriato, gli anni di guerra , i morti contati finora e poi i famosi “effetti indesiderati” come, con un eufemismo poco convincente, vengono definiti i rifugiati, gli sfollati , i senzatetto, gli orfani e le vedove. A seguire, per ogni stazione, le parole del Papa, di condanna senza appello dei conflitti vecchi e nuovi, tratte per lo più dalla “Fratelli tutti “: “La violenza fa regredire il corso della storia”; “ogni guerra lascia il mondo peggiore di come lo ha trovato. La guerra è un fallimento della politica e dell’umanità, una resa vergognosa, una sconfitta di fronte alle forze del male” (n. 26); “guardiamo la realtà con gli occhi delle vittime”(n.261) ). “La guerra è la negazione di tutti i diritti e una drammatica aggressione all’ambiente” (n.257). “Giù le mani dall’Africa! Che non è una miniera da sfruttare o un suolo da saccheggiare” (dal viaggio in Congo)
E la quasi-processione continua; in testa, accanto alle croci di Cutro, parroco e vice di sant’Anna, don Franco Corbo (con microfono a portata di mano) e don Marcello Cozzi. Confusi tra i manifestanti, don Sergio e don Giovanni. Più visibile il parroco di san Pietro e Paolo, don Antonio Palo che sul giaccone ha voluto indossare anche una stola violacea (il colore liturgico del lutto), quasi a benedire e identificare la Chiesa in uscita sui drammi del mondo.
Alla fine, la chiesa di san Giuseppe spalanca i battenti ai manifestanti ma non tutti riescono ad entrare. Le due croci di Cutro innalzate sull’altare; quelle piccole deposte ai piedi. Poco più avanti in un cesto i bambini lasciano cadere i pensierini sulla pace preparati a scuola.
I sacerdoti sull’altare ringraziano i partecipanti. Don Marcello: “la pace non ha colori né politici né religiosi”. Don Antonio entusiasta per la chiesa piena all’inverosimile porta il saluto anche dei parroci emeriti don Biagio Mitidieri e don Peppino Nolè. Don Giovanni: “un bel segnale per la città!” E infine la benedizione: quattro preti, insieme sullo stesso altare, segnano contemporaneamente la croce sulla folla. Un gesto sacro che stavolta sa più di mandato che di saluto, perché le croci di Cutro – ha detto don Marcello – non costituiscono un ricordo ma orientano il cammino nel futuro di ciascuno.